Con l’espressione “controlli a distanza del lavoratore” si fa riferimento ad una particolare modalità di controllo posta in essere dal datore di lavoro e caratterizzata dall’utilizzo di apparecchiature e strumenti di sorveglianza prettamente tecnologici (quali ad esempio telecamere o impianti audiovisivi) presenti negli ambienti di lavoro.
Il fenomeno dei controlli a distanza del lavoratore suscita da sempre, sin dalla sua prima regolamentazione normativa (art. 4 L. 300/1970), forti perplessità tra la società civile nonché dubbi e contrasti in dottrina e giurisprudenza aventi ad oggetto al legittimità di quella che è, di fatto, una forma di manifestazione del potere datoriale. Trattasi, infatti, di una tematica estremamente controversa e dibattuta, nella quale entrano in gioco e si scontrano interessi differenti, se non opposti: se da un lato il datore di lavoro esercita, attraverso l’installazione di apparecchiature tecnologiche di controllo, il proprio diritto di verificare il buon andamento dell’attività lavorativa (art. 2086 e 2104 c.c.), dall’altro lato non possono dimenticarsi i diritti, costituzionalmente garantiti, alla tutela della libertà e dignità del lavoratore (art. 2, 4, 35 e 36 Cost.).
La disciplina che regola il fenomeno dei controlli a distanza è contenuta all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970), di recente modificato dal D.Lgs 151/2015, che ha profondamente inciso sulla normativa in oggetto. Estremamente interessante è, pertanto, osservare in che modo il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire per regolare il fenomeno dei controlli a distanza del lavoratore, così da poter comprendere e verificare quale, tra i differenti interessi in gioco, prevale in concreto.
Nella sua formulazione originaria, l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, prevedeva un divieto assoluto di utilizzo e installazione di apparecchiature o impianti audiovisivi, inseriti negli ambienti di lavoro al fine di operare controlli sulle prestazioni lavorative dei dipendenti ed utilizzare, quindi, tali strumenti, come fonti di controllo e di valutazione del lavoratore. A tale divieto assoluto, la normativa statutaria aveva, però, previsto una deroga: quando l’installazione di tali tipologie di impianti fosse stata necessaria a soddisfare esigenze organizzative, produttive o di sicurezza sul lavoro, la presenza delle stesse in azienda veniva concessa previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza, con l’ispettorato del lavoro.
Ebbene, tale impianto normativo è, di fatto, scomparso. Ed infatti, il legislatore degli anni settanta, particolarmente attento alle istanze del mondo dei lavoratori, ha lasciato lo spazio ad un legislatore certamente meno restrittivo, in tema di controlli a distanza, e maggiormente concentrato nel tentativo di bilanciare le differenti richieste di tutela, non più e non solo dei lavoratori, ma anche e soprattutto dei datori di lavoro.
Da tale esigenza è sorta una nuova disciplina dei controlli a distanza nella quale non solo non è più previsto il divieto assoluto di svolgere controlli a distanza sull’attività del lavoratore, ma viene anche operata una differenziazione tra i diversi strumenti di controllo. La vigente normativa stabilisce, infatti, che gli impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati, negli ambienti di lavoro, “esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale” previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali o autorizzazione della Direzione Territoriale del lavoro.
A tali novità si aggiunge poi, l’espressa previsione, contenuta al terzo comma dell’articolo in commento, della possibilità di utilizzare senza alcuna autorizzazione preventiva o accordo sindacale le altre tipologie di strumenti di controllo, utilizzate dal lavoratore per rendere la propria prestazione lavorativa, quali ad esempio, tablet, pc, telefoni cellulari ecc. L’attuale quadro normativo è composto, infine, da un’ultima significativa novità contenuta al quarto comma dell’art. 4, in cui si prevede che il datore di lavoro può utilizzare le informazioni e le immagini raccolte sia tramite gli strumenti audiovisivi sia tramite gli altri strumenti, per “tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, disposizione che concede, di fatto, la possibilità al datore di lavoro di servirsi degli strumenti di controllo anche in fase disciplinare.
Tuttavia, come spesso accade, le innovazioni legislative sono sovente precedute da innovazioni giurisprudenziali, elaborate dagli operatori del diritto nelle aule di giustizia. Così è accaduto anche con riferimento alla controversa tematica dei controlli a distanza dei lavoratori, questione sulla quale si riscontrano, ancor prima della modifica legislativa del 2015, numerose pronunce, di merito e di legittimità che, a differenza di quanto accadeva in passato, tendono sempre più spesso a far prevalere l’interesse datoriale alla tutela del patrimonio aziendale sul diritto alla riservatezza e libertà del dipendente (Cass. Sez. Lavoro, sent. 16196 del 10 luglio 2009; Cass. Sez. Lavoro, sent. 23 febbraio 2012, n. 2722).
In conclusione, alla luce della disciplina esaminata e degli orientamenti giurisprudenziali in materia, è di tutta evidenza che il radicale mutamento di disciplina in tema di controlli a distanza è espressione dalla volontà del legislatore di raggiungere un soddisfacente risultato, in termini di tutele, per entrambi i soggetti destinatari della normativa, datori di lavoro e lavoratori. Se il giusto equilibrio tra le differenti esigenze di tutela sia stato effettivamente raggiunto è difficile da dirsi, ma ciò che, invece, è certamente possibile affermare è che non può mai essere abbandonato il tentativo di conciliare diritti e tutele dei protagonisti del mondo del lavoro in continuo cambiamento e che, proprio per questo, necessita di continue risposte.
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