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Data Aggiornamento: Giugno 2021

CREDITI che si fanno DEDUZIONE

CREDITI PRESCRITTI O NON RECUPERABILI

Il comma 5 dell’art. 101 TUIR, stabilisce che i costi deducibili dal reddito d’impresa devono soddisfare i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. In particolare, il credito, della cui perdita si può chiedere la deduzione ( ovvero la sottrazione dal reddito prima di calcolare l’imposta da pagare) nel periodo di imputazione in bilancio quale componente negativa del reddito di impresa:

  • deve essere inerente l’attività di quest’ultima, coerentemente al suo oggetto sociale.
  • deve esservi già stata un’imposizione sulla componente reddituale attiva da ricavo, che solo successivamente non è stato possibile incassare per un fatto non imputabile al creditore e che è riconducibile, invece, a una situazione di inesigibilità per inadempienza del debitore.

Sicché, la deducibilità è, quindi, ancorata a criteri di “precisione e certezza”, il cui onere probatorio incombe necessariamente, in via ordinaria, in capo al contribuente creditore che intende avvalersene: la prova della certezza afferisce sia l’an della perdita derivante dall’inesigibilità del credito sia il quantum, vale a dire la sua entità.

Il contribuente creditore, comunque, ai fini dell’azionabilità del diritto, deve sempre tenere a mente che vi è (anche) la prescrizione del diritto alla riscossione del credito.

L’estinzione del diritto, infatti, fondata sul decorso del tempo, si realizza nel caso in cui il creditore non interrompa la prescrizione.

Con la prescrizione, il creditore perde qualsiasi diritto in merito al credito.

In linea generale, la perdita del credito si realizza “quando il debitore non paga volontariamente e il credito NON risulta attuabile coattivamente, attraverso gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione del creditore” (Cass., n. 14568/2001), come si verifica nel caso della prescrizione.

Tuttavia, ai fini della deducibilità, ove la riscossione non sia accompagnata dalla prova dei tentativi di recupero forzoso del credito, scatterà la presunzione di liberalità del creditore (con conseguente indeducibilità) salvo il ricorso ai criteri ordinari di deducibilità della perdita su crediti.

Sicché, tale aspetto è stato affrontato dalla Cassazione nella recente sentenza n. 4567/2019, la quale ha sancito che: “… il riferimento alla presenza di “elementi” certi, lascia intendere che un solo elemento non è di sicuro sufficiente ai fini della prova della certezza della perdita (cfr. Cass., Sez. 5, 20.11.2001, n. 14568).”

Così, il trascorrere del tempo che cristallizza la prescrizione si scontra con l’inerzia nella titolarità del credito che, sempre secondo la Cassazione, porta all’esistenza di un credito inattuato per volontà del creditore.

Il caso di specie non configura una perdita fiscalmente rilevante, proprio per l’assenza del requisito della certezza, atteso che la circostanza che il creditore non faccia nulla per esercitare il suo diritto di credito, nelle forme previste dalla legge, configura un comportamento omissivo o liberale nel caso in cui la perdita diviene poi definitiva in quella misura.

Interrompendo la prescrizione, quindi, anche tramite un’intimazione e messa in mora di un avvocato, comporterà il protrarsi della prescrizione in un arco di tempo più lungo ai fini della deduzione della perdita nel caso di specie.

Di recente, tale problematica è stata attenzionata anche dall’Agenzia delle Entrate che, rispondendo all’interpello n. 197/2019 ed assumendo una posizione analoga a quella della citata Cass. n. 4567/2019, ha operato, tuttavia, delle aperture.

In particolare, nell’interpello viene affrontato il caso (frequente) in cui il creditore, ai fini della riscossione coattiva del credito, privilegia un “approccio fiduciario ed una gestione informale del recupero del credito”, che assume “incidenza non marginale, per mantenere buoni rapporti commerciali con il cliente”.

In tale situazione:

  1. la sopraggiunta prescrizione dei crediti vantati dalla società stessa è dovuta ad un “comportamento inattivo” del contribuente che, pur in presenza di numerosi incontri e solleciti per l’incasso dei crediti insoluti, non ha formalizzato per iscritto (raccomandata A/R, fax, PEC, ecc.) l’intimazione e messa in mora. Quindi, ha rinunciato all’interruzione della prescrizione nei confronti del debitore.
  2. non potendosi escludere che tale comportamento di inattività sia inteso quale volontà liberale, si avrà che la deduzione della perdita rimanga subordinata all’acquisizione di evidenze probatorie comprovanti lo stato di effettiva insolvenza dei debitori. Infatti, in caso di effettività dell’intento liberale si avrà la conseguente indeducibilità della perdita.

L’Agenzia Entrate non approfondisce ulteriormente la questione che, tuttavia, va inquadrata nel più ampio ambito dei criteri che prevedono la deducibilità del credito.

In particolare, al di fuori del caso di crediti di “modesta entità” (per i quali il decorso dei 6 mesi dalla scadenza per il pagamento permette comunque la deducibilità della perdita su crediti), la questione attiene alla cd. “economicità della perdita”, è cioè al fatto che vi possa essere un maggior danno temuto nel proseguire le azioni esecutive piuttosto che nella loro cessazione.

Quest’ultima fattispecie si ha quando fonti “qualificate” (es: società specializzate nel recupero crediti; pareri di avvocati; ecc.) sconsiglino l’azione esecutiva in quanto è presumibile che, stante l’incapienza del patrimonio del debitore (non solo in relazione al credito, ma anche spese di procedura) questa comporti costi maggiori delle effettive possibilità di recupero. Infatti, se da un lato le procedure esecutive dimostrano l’assenza di intento liberale, dall’altro rappresentano ulteriori costi che vanno ad aggravare la posizione debitoria. Peraltro, anche nell’eventuale sede fallimentare è assai raro che il creditore recuperi i costi di procedura.

In tal senso, risulta deducibile sopportare la perdita del credito pur di riuscire a recuperare solo parte dello stesso (es: 10) ma sopportando maggiori spese (per 20).[1]

Con riferimento ai soli crediti da riscuotere di esigua entità, “gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il credito sia di modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso”: la modesta entità del credito va differenziata, tra l’altro, a seconda che superi i 5mila euro, per le imprese di più rilevante dimensione, e i 2.500 euro, per le altre.

In sede processuale, ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio, al contribuente viene riconosciuta la possibilità di offrire qualsivoglia mezzo idoneo. La valutazione probatoria è lasciata al solo sindacato del giudice di merito.

COME SI PROVA LA DEDUCIBILITA’ DI UN CREDITO?

Salvo il caso di procedure concorsuali, i requisiti di certezza e precisione richiesti ai fini della deducibilità delle perdite devono essere valutati in base ad una pluralità di indici di attendibilità. Di seguito un breve elenco di situazioni:

  • il costo deve essere inerente all’attività d’impresa (può anche essere potenziale, nel senso che da esso potrebbero derivare i ricavi o i proventi che concorreranno a formare il reddito di impresa);
  • affinché una spesa possa ritenersi inerente, non è sufficiente che sia stata correttamente inserita nella contabilità aziendale, con la annessa documentazione di supporto, essendo necessario ricavare anche la ragione strumentale della stessa;
  • è necessario dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività di impresa, sia rispetto al criterio di proporzionalità con i ricavi o con l’oggetto dell’impresa, sia con riferimento ai dati esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni;
  • una perdita deducibile è configurabile solo se il prezzo di cessione è inferiore al valore attualizzato dei crediti ceduti e cioè al valore dei crediti ceduti calcolato al netto degli interessi impliciti non ancora maturati al momento della cessione”;
  • non sono deducibilile perdite su crediti ceduti sottocosto, tanto da potersi ritenere trasferiti con atto di liberalità, senza il rispetto delle forme legislativamente previste perché si potessero ritenere abbandonati e non recuperabili”;
  • si delinea una perdita su crediti “quando il debitore non paga volontariamente e il credito non risulta attuabile coattivamente attraverso gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione del creditore:sarà necessario fornire la relativa documentazione attestante le azioni esecutive intraprese con esito infruttuoso;
  • se il creditore resta inerte nella titolarità del suo credito esiste un credito inattuato per volontà del creditore ma non esistono elementi certi per configurare una perdita fiscalmente rilevante”;
  • non ha rilievo alcuno la circostanza che la cessione del credito sia o meno riconducibile a una razionale scelta imprenditoriale, essendo determinante e rilevante l’effettiva riduzione del valore reale del credito;
  • il corrispettivo per la cessione del credito non ha alcun rilievo ove non si dimostri che esso corrispondeva ad una effettiva riduzione di valore reale del credito stesso, riduzione che non può essere giustificata e non può dirsi verosimile se non con una riduzione della garanzia patrimoniale generale offerta dalla società debitrice in misura tale da rendere impossibile, ridurre od ostacolare la recuperabilità coattiva del credito
  • la definitività della situazione di insolvenza del debitore deve essere tale da escludere il futuro soddisfacimento del credito, la qual cosa può essere desunta pacificamente dalla “presenza di un decreto accertante lo stato di fuga, di latitanza o di irreperibilità del debitore, ovvero in caso di denuncia di furto d’identità da parte del debitore ex articolo 494 del codice penale o nell’ipotesi di persistente assenza del debitore ai sensi dell’articolo 49 del codice civile” (cfr circolare 26/2013);

Sarà necessario, pertanto, esperire tutte le azioni di recupero che l’importo del credito e la localizzazione del debitore rendono economicamente e razionalmente convenienti: quanto maggiore risulta l’ammontare della pretesa, tanto più incisivi devono essere i tentativi di esazione (atto di precetto, ingiunzioni di pagamento e pignoramenti, sino al deposito dell’istanza per la dichiarazione di fallimento).

Molte imprese si affidano a società di recupero del credito nella speranza di recuperarlo. Come dimostrato, il recupero non è l’unica soluzione e – spesso- non è la più conveniente. Riteniamo sia fondamentale una valutazione a tutto tondo delle posizioni creditorie di una società per ricavare il massimo profitto possibile, anche in situazioni di difficoltà.

L’avvocato, quindi, diventa sempre più un alleato indispensabile per le aziende che accettano la sfida di operare nel paese Italia. L’imprenditore, che accetta il ruolo dell’avvocato quale strumento per prevenire rischi, massimizzare profitti o trarre vantaggi – finanche riducendo situazioni di perdita – è destinato a capitanare una squadra di successo.

Studio Legale Salata – dalla parte delle imprese!


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[1] Concetto di Economicità della perdita: il concetto non è stato sufficientemente affrontato dalla Prassi, nè dalla giurisprudenza, nelle sue più ampie declinazioni. In particolare, dovrebbe poter essere affermato anche nella situazione in cui il contribuente preferisca sopportare la perdita (anche parziale) su un credito (es: 100): pur di non interrompere rapporti commerciali che presume fruttino molto di più (150) della perdita o in quanto il debitore impone una riduzione del credito (es: da 1.000 a 900) a fronte dell’immediato pagamento del residuo (la perdita immediata comporta il venir meno del rischio di una perdita sull’intero credito di 1.000, anche in seguito alle azione esecutiva). Anche in tali casi appare evidente la convenienza a sopportare la perdita immediata, con l’unico limite che si dovrà poter dimostrare, con qualsiasi mezzo ma spesso ciò non è agevole, la convenienza della scelta operata.

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