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Data Aggiornamento: Agosto 2021

Guida in stato di (lieve) ebbrezza ed esclusione dai concorsi pubblici. Il TAR Lazio aggiusta il tiro.

Con la sentenza n. 9443, pubblicata il 30 agosto 2016, la Sezione seconda del Tribunale amministrativo per la Regione Lazio ha posto un altro importante tassello nella ricca giurisprudenza riguardante l’esclusione dai pubblici concorsi per difetto, in capo al candidato, delle qualità morali o di condotta prescritte dal Bando.

In breve i fatti all’origine di questa pronuncia: il Comando Generale della Guardia di Finanza aveva escluso un aspirante allievo finanziere dal concorso per il reclutamento in quanto non in possesso del requisito di moralità e di condotta previsto dall’art. 2, comma 1, lett. g), del bando (vale a dire i requisiti stabiliti l’ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria).

In precedenza il candidato era, infatti, incorso nella violazione dell’art. 186, comma 2, del codice della strada: guida di un autoveicolo sotto l’influenza dell’alcool, con un tasso alcolemico tra 0,5 e 0,8 g/l (0,71 g/l alla prima prova e 0,54 g/l alla seconda prova).

Il Comando della Guardia di Finanza, facendo leva sull’ampia discrezionalità di cui gode la PA in ordine alla valutazione della presenza (o meno) del requisito della “condotta incensurabile”, procedeva dunque all’esclusione del candidato.

Quest’ultimo impugnava il predetto provvedimento di esclusione, censurandone l’illegittimità per carenza (rectius: insufficienza) dei presupposti, illogicità e irragionevolezza: la decisione del Comando non avrebbe tenuto in debito conto l’unicità dell’episodio, né lo scarso rilievo (sotto il profilo quantitativo) dell’infrazione in cui era incorso il candidato.

Ebbene, Il TAR Lazio ha ritenuto tali argomentazioni persuasive, svolgendo sulla base di esse il seguente ragionamento: posto che l’art. 186, comma 2, del codice della strada, come di recente modificato, prevede la sola sanzione amministrativa in caso di tasso alcolemico superiore a 0,5 e non superiore a 0,8 grammi per litro, l’infrazione in cui era incorso il ricorrente era di modestissimo rilievo, in quanto superiore di  solo 0,04 g/l (alla seconda prova) alla soglia di rilevanza amministrativa, e del tutto irrilevante sotto il profilo penale. Tale circostanza, secondo il Collegio, “rende evidente l’insussistenza di una motivazione tale da rendere ragionevole l’accertamento della carenza in capo all’interessato dei requisiti morali e di condotta”.

Se, infatti, è incontestabile che simili provvedimenti siano rimessi alla discrezionalità dell’Amministrazione, è altrettanto pacifico che tale discrezionalità non deve trasmodare in puro arbitrio; sicché l’esercizio del potere discrezionale è comunque soggetto a dei limiti ‘interni’ o ‘impliciti (in quanto connessi alla natura stessa del potere esercitato ovvero a principi generali di logica, imparzialità e ragionevolezza), la cui osservanza deve emergere chiaramente dalla motivazione dell’atto.

Nel caso in esame, il nesso di causalità tra il comportamento accertato (infrazione di lievissima entità del codice della strada) e il difetto dei requisiti di moralità è rimasto del tutto indimostrato, di talché il provvedimento impugnato si è risolto in un’applicazione ‘meccanica’ (e dunque arbitraria) di una sanzione prevista dal Bando.

Il Collegio ha, quindi, annullato il provvedimento impugnato in quanto “carente di motivazione ed irragionevole in ordine al rapporto di causalità tra il fatto commesso e la determinazione adottata”.

V’è da rilevare che la decisione in rassegna, condivisibile nel decisum e nelle sue motivazioni, fa riflettere anche sotto un altro profilo: il caso mostra, infatti, come l’apprezzamento (quantitativo) di un illecito ai fini del possesso dei requisiti di moralità sia, in ultima analisi, rimesso al Giudice amministrativo e ai suoi (necessariamente) mutevoli orientamenti (v. TAR Lazio, Roma, sez. II, 26 febbraio 2016 n. 2665); ci si chiede, allora, se non sia opportuno metter mano all’intera materia mediante una normativa che stabilisca, in modo puntuale e univoco,‘in che misura’ determinati illeciti rilevino ai fini del requisito di moralità previsto nei concorsi pubblici.

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