Come noto l’usufrutto è un diritto reale di godimento che consente all’usufruttuario di godere di un bene determinato, esercitando i tipici poteri del proprietario, con l’obbligo di restituire il bene al termine dell’usufrutto.
Trattasi di un istituto civilistico, disciplinato agli artt. 978 e seguenti del Codice Civile, di larga diffusione in virtù dei vantaggi che offre tanto all’usufruttuario quanto al nudo proprietario, ovvero colui che concede in godimento un proprio bene.
Caratteristica principale dell’usufrutto è la sua durata limitata nel tempo. Ed infatti, tale diritto è destinato ad estinguersi in presenza di un termine pattuito tra le parti ovvero, in ogni caso, con la morte del titolare del diritto, se persona fisica. Se l’usufrutto è costituito in favore di una persona giuridica, la sua durata non può eccedere i 30 anni.
In ogni caso, cessato l’usufrutto, il nuovo proprietario vede rispandersi il proprio diritto, tanto da riguadagnare la proprietà piena del bene precedentemente concesso all’altrui godimento.
Il diritto di usufrutto si estingue, oltre che per decorso del termine di durata e per decesso del titolare, anche per rinuncia dell’usufruttuario.
Sul punto non si riscontra, all’interno del codice civile, una disciplina ad hoc in tema di rinuncia all’usufrutto, tuttavia ricavabile dall’esame di precise disposizioni di legge e dall’ormai consolidato orientamento di dottrina e giurisprudenza sul punto.
Principale norma di riferimento sul punto, si rintraccia all’art. 1350 c.c. che si occupa di definire gli atti per i quali è imposta la forma pubblica a mezzo di atto pubblico redatto da un pubblico ufficiale, ovvero di scrittura privata autenticata.
Ed infatti, ai sensi del punto 2), comma 1 del citato articolo, è imposta la forma pubblica ai “contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto sui beni immobili” ed ancora, al punto 5), la medesima forma è imposta “agli atti di rinuncia ai diritti indicati dai numeri precedenti”.
Pertanto, non solo la rinuncia usufrutto è riconosciuta come facoltà del titolare, ma tale manifestazione di volontà soggiace ad un rigoroso sistema di forme.
Il primo effetto della rinuncia all’usufrutto è quello di ristabilire la piena titolarità del diritto di proprietà in capo al nudo proprietario.
Quanto ai terzi, invece, la rinuncia all’usufrutto non produce direttamente effetto nei loro confronti se non a seguito di trascrizione. Sul punto, viene in rilievo quanto previsto all’art. 2643 c.c. che, in tema di atti soggetti a trascrizione, impone la pubblicità a mezzo di trascrizione “dei contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto”, nonché degli atti tra vivi di rinuncia a tali diritti.
Per ciò che concerne gli aspetti fiscali e tributari legati ai costi della rinuncia all’usufrutto, è necessario differenziare l’ipotesi di rinuncia effettuata a titolo gratuito ovvero oneroso.
Infatti, nel primo caso, l’atto di rinuncia è registrato a tassa fissa (imposta di registro, ipotecaria e catastale) dal notaio che la riceve.
Diversamente, invece, se la rinuncia viene effettuata a titolo gratuito. In tale ipotesi, infatti, la giurisprudenza tributaria è concorde nell’assimilare tale manifestazione di volontà all’istituto della donazione, al cui regime fiscale di tassazione proporzionale e non fissa dovrà essere assoggettata.
Sul punto è stato recentemente statuito che: “tale spostamento di ricchezza sarà soggetto ad imposta di registro se attuato a fronte di un corrispettivo e all’imposta di donazione se attuato a titolo gratuito” (Commissione Tributaria Regionale Lombardia, sent. 2457/2017).
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