Il 4 marzo 2024 il Tribunale di Roma ha pubblicato una sentenza destinata a rappresentare un precedente: si tratta della pronuncia n. 2615/2024, in tema di “influencers”.
Nel linguaggio comune ormai acquisito, richiamato dal Tribunale di Roma che ne ha delineato i tratti essenziali, “l’influencer è colui che, avendo un ampio seguito di pubblico, è in grado di raggiungere con i propri messaggi un numero potenzialmente sempre più alto di individui, creando i presupposti per la diffusione su larga scala dei suoi messaggi, principalmente attraverso il passaparola” (Trib. Roma, 2615/2024).
La figura dell’influencer può presentarsi sotto molteplici forme, a seconda della propria comunità (community) di seguaci (followers), dei prodotti sui quali punta, dei social network con cui opera (Youtube, Instagram, Tik Tok, Linkedin, Facebook, Twitter etc.) e delle attività che propone. Troveremo allora bloggers, videomakers, content creators, youtubers, instagrammers etc.
Gli influencers esistono in quanto, appunto, esiste un pubblico interessato ai temi ed agli argomenti dei quali si occupano, attraverso la fruizione di contenuti di qualità.
Il Tribunale di Roma, con la pronuncia in argomento, non solo ha elaborato una articolata panoramica circa la figura degli influencers ma, per la prima volta, ne ha anche delineato un inquadramento sotto il profilo del diritto del lavoro.
Il caso concreto riguarda l’ipotesi di un accertamento ispettivo, svolto nel 2022 nei confronti di una società che svolgeva attività di vendita online di integratori alimentari, il cui mercato era “costituito esclusivamente dagli utenti raggiungibili nel mondo web attraverso attività di promozione svolta dai testimonial” e, appunto, “dagli influencers”.
Gli influencers, in particolare, svolgevano attività promozionale di vendita dei prodotti, ricevendone un compenso proporzionale alle vendite effettuate per il loro tramite, riconoscibili, ad esempio, attraverso l’applicazione di un determinato codice sconto collegato all’influencer stesso.
Partendo da queste premesse e da una compiuta analisi, l’accertamento ispettivo dichiarava che, nel caso specifico, il rapporto tra la Società e gli influencers era assimilabile al “contratto di agenzia” di cui agli articoli 1742 e sgg. c.c. e che, conseguentemente, nei confronti degli influencers erano dovuti dalla società i contributi.
La Società si opponeva all’accertamento, ma il Tribunale di Roma, rigettando l’impugnativa, faceva propria l’interpretazione del verbale e, condannava la Società al pagamento dei contributi, oltre alle sanzioni, in favore degli influencers.
Alla luce di quanto precede, per verificare se l’influencer che svolge una attività di promozione delle vendite dietro retribuzione di un corrispettivo possa considerarsi agente di commercio, la valutazione dovrà essere fatta caso per caso.
Il Tribunale di Roma ha infatti evidenziato che, con il contratto di influencer, l’azienda persegue lo scopo di far diventare propri clienti i followers dell’influencer, e che non è rilevante la modalità attraverso la quale l’influencer induca la propria community all’acquisto, né che si rivolga individualmente a ciascun follower, in quanto “nel mondo web la promozione dei prodotti viene assicurata attraverso la pubblicazione sui vari social da parte dell’influencer di contenuti (post o stories) destinati alla platea dei propri followers”.
La verifica deve essere piuttosto operata valutando la presenza, nel rapporto, degli elementi tipici del contratto di agenzia di cui all’art. 1742 e sgg. c.c. e, dunque, sostanzialmente, la stabilità e la continuità, verificabili attraverso la presenza di determinati indizi “gravi, precisi ed univoci” quali:
Una volta accertati, nel singolo caso, gli elementi di cui sopra, l’influencer potrà rivendicare la presenza di un rapporto riconducibile al contratto di agenzia e, dunque, vedersi riconosciuto il diritto alla corresponsione dei contributi.
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