Top
blog immagine
Data Aggiornamento: Giugno 2021

Cessione del Marchio

Cos’è un marchio?

Insieme alla ditta e all’insegna, il marchio è uno degli elementi distintivi dell’impresa. Serve a distinguere un determinato prodotto o servizio da altri dello stesso genere, consentendo ai consumatori il libero e ponderato esercizio della facoltà di scelta in un mercato di tipo concorrenziale. E’ considerato un bene immateriale che può essere trasferito sia a titolo definitivo, tramite cessione del marchio, sia a titolo temporaneo, tramite licenza d’uso.

Cosa posso fare con il marchio?

L’art. 2573, co. 1, c.c., prevede che: «il marchio registrato può essere trasferito o concesso in licenza per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è stato registrato, purché in ogni caso dal trasferimento o dalla licenza non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico».

Dal 1992, è sancito il principio di libera cessione del marchio, indipendentemente da quella degli altri elementi aziendali.

È inoltre consentita anche la cessione parziale del marchio, riferita ad una sola parte dei prodotti per cui il marchio è stato registrato.

Il marchio può quindi essere oggetto anche di licenza, anche non esclusiva, a patto che il licenziatario si obblighi espressamente ad utilizzare il segno per contraddistinguere prodotti e servizi uguali a quelli del titolare del marchio.

Perché ci interessa il marchio?

Perché può far risparmiare tasse all’imprenditore!

Fino al 1° gennaio 1988, i proventi derivanti dalla concessione in uso o anche cessione di un marchio, compiute al di fuori dell’esercizio di impresa, erano considerati redditi di lavoro autonomo a tutti gli effetti.

Successivamente, con l’introduzione del T.U.I.R., la formulazione dell’art. 53, co. 2, lett. b), relativo ai redditi di lavoro autonomo è cambiata radicalmente. Ora sono considerati redditi di lavoro autonomo «i redditi derivanti dall’utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali».

L’art. 53 predetto non menziona più, tra i redditi di lavoro autonomo, quelli derivanti «dall’utilizzazione economica dei marchi di fabbrica e di commercio».

Alla luce della nuova formulazione, appare evidente che qualsiasi corrispettivo derivante dallo sfruttamento economico di un marchio, tramite cessione o concessione, abbia perso i requisiti necessari per essere qualificato come reddito di lavoro autonomo.

Per contro, l’art. 67 (già art. 81) del D.P.R. 917/1986 contiene, l’elencazione tassativa dei redditi rientranti nella categoria dei redditi diversi, laddove vengono ricompresi quei redditi non contemplati nelle altre fattispecie reddituali; sono cioè redditi diversi quelli che, dalla lettura del dettato normativo, «non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente».

È chiaro che deve pur sempre trattarsi di redditi, anche se “diversi”, e che tali redditi devono costituire un accrescimento patrimoniale imputabile, in rapporto di causa-effetto, ad una fonte produttiva.

Nell’ottica del legislatore possono, quindi, essere ricompresi nella nozione di reddito anche i proventi conseguiti una tantum in relazione ad attività occasionalmente svolte dal contribuente. Parrebbe allora difficile negare la qualificazione di reddito al corrispettivo derivante dalla cessione o dalla concessione in uso del marchio ad opera di un soggetto non imprenditore.

Le fattispecie in esame, non essendo più riconducibili nell’ambito del reddito di lavoro autonomo ex art. 53, e nemmeno nel campo del reddito d’impresa ex art. 55, in quanto non conseguite nell’esercizio di imprese commerciali, guadagna in via residuale la classificazione di redditi diversi.

Tuttavia, inquadrare licenza e cessione del marchio da parte di un privato all’interno dei redditi diversi non è cosa agevole. Il professionista che assiste il contribuente dovrà necessariamente spiegare a quale tipo di reddito diverso debba essere ricondotta l’operazione.

Come abbattere la pressione fiscale?

Se sei un imprenditore che vuole abbattere la pressione fiscale in modo assolutamente legale, contattaci per una consulenza preliminare gratuita. La cessione del marchio è solo uno dei tanti strumenti che utilizziamo per rendere più efficiente la tua azienda!

Studio Legale Salata
#DallaParteDelleImprese

Contattaci per una consulenza preliminare gratuita

Articoli correlati

Sono già state affrontate nel nostro blog le tematiche riguardanti l’usucapione con gli approfondimenti di seguito riportati ed ai quali rimandiamo: Usucapione Usucapione ordinaria e acquisto della proprietà Usucapione di […]

Il trust è un istituto giuridico di stampo anglosassone, che sta prendendo sempre più piede in Italia. Per tale motivo riteniamo possa essere utile una sintetica disamina della sua natura […]

Cos’è il patto di non concorrenza? L’obbligo di non concorrenza, che grava sull’ex agente dopo la cessazione del rapporto, non è un elemento essenziale del contratto di agenzia, pertanto affinché […]