La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 118 del 21 luglio 2025, ha segnato un momento cruciale per il diritto del lavoro italiano, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, co. 1, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parte in cui stabiliva un limite massimo di “sei mensilità” per l’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo nelle imprese cosiddette “sottosoglia”.
Questa decisione ha ridefinito i criteri per la tutela risarcitoria in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo od oggettivo nelle imprese con meno di quindici dipendenti e in quelle che non rientrano nella definizione di “soglia dimensionale” prevista dall’articolo 18 della legge 300/1970.
L’art. 9, comma 1, del decreto legislativo numero 23 del 2015 prevedeva che, nel caso di licenziamenti illegittimi intimati da un datore di lavoro che non raggiungesse i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18, ottavo e nono comma, dello Statuto dei lavoratori (e cioè non occupasse più di quindici lavoratori presso un’unità produttiva o nell’ambito di un Comune e comunque non più di sessanta dipendenti), l’ammontare delle indennità risarcitorie in favore dei Lavoratori – assunti dopo il 7 marzo 2015 – non potesse “in ogni caso superare il limite di sei mensilità” dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio.
In altri termini, fatte salve le diverse ipotesi previste dalla norma, il Lavoratore di una piccola impresa licenziato illegittimamente aveva come prospettiva quella di raggiungere una indennità risarcitoria fino a sei mensilità.
Il fulcro dell’incostituzionalità, secondo il Collegio, risiede nella rigidità del limite delle sei mensilità.
La Corte ha evidenziato, infatti, come tale previsione violasse gli articoli 3 (principio di uguaglianza e ragionevolezza, anche sulla disparità di trattamento tra i dipendenti delle imprese piccole e grandi) e 4 (diritto al lavoro) della Costituzione. In particolare, ha rilevato che una sanzione così predeterminata, agganciata unicamente al requisito dimensionale, non era idonea a garantire una “adeguata riparazione” al lavoratore licenziato illegittimamente. Precedenti sentenze, come la n. 194 del 2018 e la n. 150 del 2020, avevano già messo in discussione la standardizzazione delle indennità.
La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di assicurare una tutela risarcitoria che sia non solo effettiva, ma anche dissuasiva: il Datore di lavoro, sapendo di incorrere in una sanzione indennitaria potenzialmente superiore alle sei mensilità, dovrà prestare maggiore attenzione alle ipotesi di licenziamento.
Con la sentenza in argomento, la Corte ha voluto riaffermare il proprio ruolo di garante dei diritti fondamentali, con l’obiettivo di una tutela “su misura”.
Con la caduta del limite delle sei mensilità, i giudici avranno infatti maggiore discrezionalità nel quantificare l’indennità risarcitoria.
Tra i criteri che potranno essere valutati, vi saranno l’anzianità di servizio, le dimensioni reali dell’attività economica (non solo il numero di dipendenti), l’età del lavoratore, le condizioni e la condotta di entrambe le parti.
Con l’eliminazione del tetto delle sei mensilità, il Lavoratore – dipendente di piccole e medie imprese e assunto dopo il 7 marzo 2015 – che si ritenga illegittimamente licenziato potrà adire il Giudice per vedersi riconoscere una indennità risarcitoria non limitata alle sei mensilità, ma che potrà essere determinata in misura superiore a seconda dei criteri valutati dal Giudice.
Per le piccole e medie imprese (PMI), la sentenza della Corte significa che la prevedibilità dei costi in caso di licenziamento illegittimo è diminuita, e ciò si traduce nella necessità di una gestione ancora più oculata e documentata dei processi di licenziamento, per minimizzare i rischi di contestazioni e di potenziali oneri imprevisti.
Se il limite fisso poteva rappresentare una sorta di “salvagente” economico in caso di errori, ora anche le realtà più piccole dovranno affrontare la possibilità di indennità più consistenti. Questo implica che ogni decisione sui licenziamenti dovrà essere calibrata con maggiore attenzione al caso specifico ed al rischio potenziale.
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