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Data Aggiornamento: Settembre 2025

Smart working: concessione del Datore o diritto del Lavoratore?

Il Tribunale di Ragusa, poco prima della pausa estiva 2025, ha pronunciato una sentenza destinata a suscitare dibattito per la chiarezza con cui riafferma la natura non automatica del diritto allo smart working. Esaminiamola insieme.

Una breve introduzione

Come è noto, negli ultimi anni lo smart working (o lavoro agile) ha rappresentato una trasformazioni delle più significative nel mondo del lavoro. Nato con la legge n. 81/2017 come modalità flessibile di organizzazione della prestazione, ha conosciuto una diffusione straordinaria durante la pandemia, divenendo una misura necessaria per garantire la continuità produttiva e tutelare la salute pubblica, ed in alcuni casi un vero e proprio diritto per determinate categorie di lavoratori, ad esempio i genitori di minori.

Con il progressivo rientro alla normalità, tuttavia, lo smart working ha teso a riappropriarsi della sua natura ordinaria, fondata sul principio di volontarietà e bilateralità.

Il caso

È in questo contesto che si inserisce la sentenza dell’11 luglio 2025, con la quale il Tribunale di Ragusa (R.G. n. 1828/2024 R.G.) ha dichiarato legittimo il licenziamento di un Lavoratore che aveva svolto l’attività lavorativa in regime di smart working senza averne ricevuto la preventiva autorizzazione da parte del Datore di lavoro.

Il procedimento trae origine dal ricorso di un quadro responsabile di struttura, assunto nel 1988 e licenziato per giusta causa nel febbraio 2024 a seguito di una contestazione disciplinare, avente ad oggetto lo svolgimento dell’attività lavorativa da remoto per oltre 40 giornate, senza alcuna autorizzazione aziendale, utilizzando timbrature virtuali e connessioni VPN.

Secondo la società, tale condotta integrava una grave violazione delle disposizioni contrattuali e aziendali, poiché lo smart working non era previsto per quella funzione né era stato mai autorizzato.

Il dipendente contestava il recesso, sostenendo che:

  • lo svolgimento della prestazione in modalità agile costituirebbe un diritto pieno in presenza di determinati requisiti (es. figli minori di 14 anni con entrambi i genitori lavoratori);
  • non era necessaria alcuna preventiva autorizzazione datoriale né accordo scritto;
  • le comunicazioni informali via WhatsApp al superiore gerarchico sarebbero state sufficienti a legittimare la prestazione da remoto;
  • in ogni caso, la condotta contestata non avrebbe arrecato alcun pregiudizio all’azienda e, al più, avrebbe potuto giustificare una sanzione conservativa.

La decisione del Tribunale

A fronte di tali argomentazioni, il Giudice del lavoro di Ragusa, ha rigettato il ricorso, dichiarando legittimo il licenziamento disciplinare.

La motivazione muove da un principio cardine: il lavoro agile, pur rappresentando una modalità innovativa e flessibile di svolgimento della prestazione, non costituisce un diritto pieno ed indiscriminato del lavoratore ma, al contrario, è subordinato:

1.      all’autorizzazione del datore di lavoro;

2.      alla stipula di un accordo specifico, avente forma scritta, che disciplini le condizioni e gli aspetti rilevanti della prestazione, come richiesto dagli artt. 18-21 della L. n. 81/2017 e ribadito dal Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile del 7 dicembre 2021, che ha fornito linee guida condivise dalle parti sociali per la contrattazione collettiva.

Il Tribunale sottolinea, in particolare, che non è sufficiente una comunicazione informale al superiore né la mera esistenza di requisiti soggettivi (quali la presenza di figli minori): senza un accordo scritto e senza l’autorizzazione datoriale, lo smart working non può essere unilateralmente deciso dal dipendente.

La sentenza richiama anche il tema della sicurezza sul lavoro e degli obblighi di comunicazione (art. 23 L. n. 81/2017), ricordando che solo il datore può assolvere all’onere di comunicare i nominativi dei lavoratori agili al Ministero e garantire la copertura assicurativa per infortuni e malattie professionali. Un’interpretazione che ammettesse lo smart working come diritto incondizionato renderebbe impossibile adempiere a tali obblighi.

Alla luce di ciò, la condotta del lavoratore – consistente nell’avere scelto autonomamente di lavorare da remoto per numerose giornate – è stata qualificata come illecita, reiterata e consapevole, tale da integrare giusta causa di licenziamento.

Le implicazioni della sentenza

La pronuncia del Tribunale di Ragusa, che si  inserisce nel filone giurisprudenziale tendente a ricondurre lo smart working entro i confini di una facoltà concessa dall’azienda, presenta un potenziale interesse per tutte le Parti coinvolte.

  • Per i Datori di lavoro, affinché procedano a
  1. predisporre e aggiornare accordi individuali di lavoro agile;
  2. chiarire nei regolamenti interni e nei codici etici le modalità di utilizzo delle strumentazioni tecnologiche;
  3. vigilare sul corretto svolgimento della prestazione e sull’uso degli strumenti aziendali.
  • Per i Lavoratori, affinchè siano consapevoli che non è possibile autodefinire le condizioni di lavoro agile, nemmeno in presenza di esigenze familiari o personali, senza una formale autorizzazione. In mancanza, si rischia di incorrere in sanzioni disciplinari fino al licenziamento.

Conclusioni e spunti finali

La decisione del Tribunale di Ragusa rappresenta un importante punto fermo in un ambito ancora in evoluzione: lo smart working non è un diritto esercitabile unilateralmente, ma una modalità organizzativa che richiede la condivisione di regole tra datore e dipendente.

In attesa di un possibile intervento legislativo che chiarisca ulteriormente l’equilibrio tra esigenze di flessibilità e garanzie per i lavoratori, lo Studio Salata è a disposizione per la redazione di accordi di lavoro agile, integrazione dei regolamenti interni e dei codici etici, consulenze personalizzate sul perimetro di applicazione di fattispecie specifiche.

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