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Data Aggiornamento: Agosto 2021

Discriminazione della coppia omosessuale in Italia e ricorso alla CEDU

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver rifiutato di rilasciare il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare ad un cittadino neozelandese che voleva vivere nel in Italia con il compagno italiano. L’Italia quindi, secondo i giudici di Strasburgo, ha violato il diritto della coppia a non essere discriminata, diritto prescritto all’art. 14 della Cedu.

Il caso, nello specifico riguarda il ricorso a Strasburgo, nel 2009, di Roberto Taddeucci e del suo compagno neozelandese Douglas McCall che risiedevano in Nuova Zelanda, con lo statuto di coppia non sposata fino al dicembre 2003 quando decisero di trasferirsi in Italia a causa dello stato di salute di uno dei due. McCall richiese un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, che gli venne rifiutato dalle autorità italiane. Nel ricorso quindi la coppia ha  rappresentato di essere stata vittima di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale.

I giudici di Strasburgo hanno stabilito che vi è stata una “discriminazione ingiustificata” e quindi un’evidente violazione dell’art. 14 della Convenzione che sancisce proprio il divieto di discriminazione. Nella sentenza la Corte di Strasburgo scrive che “la situazione di Taddeucci e McCall, una coppia omosessuale, non poteva essere equiparata a quella di una coppia non sposata eterosessuale”. I giudici osservano che “non potendosi sposare e nell’impossibilità di ottenere in quegli anni in Italia qualsiasi altro riconoscimento formale della loro unione, i due uomini non potevano essere classificati come sposi, e che l’interpretazione restrittiva della nozione di membro di famiglia era per le coppie omosessuali un ostacolo insormontabile nell’ottenere un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare”. Quindi accanto alla violazione dell’art. 14 vi è anche quella dell’art. 8 in quanto ai ricorrenti non è stato riconosciuto neppure il diritto alla vita familiare.

Le due norme violate si sono intersecate nel ragionamento dei giudici di Strasburgo laddove la Corte ha precisato che lo Stato “ha violato il diritto di Taddeucci e McCall a non essere discriminati sulla base dell’orientamento sessuale nel godimento del loro diritto al rispetto della vita familiare”.

A differenza di una persona impegnata in una relazione etero, in altre parole, McCall non aveva strumenti legali in Italia per ottenere lo stato di ‘membro di famiglia’ collegato a Taddeucci e, pertanto, non aveva diritto ad un permesso di soggiorno”. Oggi sicuramente in Italia, non si potrà parlare di “membro della famiglia” per colui che è parte di un’unione omossessuale, ma sicuramente si potrà ricorrere alla tutela che la legge 76 del 2016 ha fornito ai membri di un’unione civile e pertanto si dovrebbe evitare così che in futuro si realizzano discriminazioni come questa.

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