L’accordo tra Avvocato e parte assistita rientra nel novero dei contratti d’opera intellettuale, di cui agli articoli 2222 e seguenti del codice civile, in forza del quale l’Avvocato si obbliga a compiere la prestazione d’opera e l’Assitito si obbliga al pagamento del relativo compenso.
L’obbligazione dell’Avvocato assunta mediante la stipulazione di un contratto professionale di prestazione d’opera intellettuale è ritenuta una obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista assumendo l’incarico, si impegna a porre in essere tutte le condizioni tecnicamente necessarie per consentire al proprio assistito la realizzazione dello scopo perseguito, ma non a conseguire il risultato.
Il fondamento della responsabilità civile dell’Avvocato trova le proprie radici nelle disposizioni della Legge professionale forense, Legge 247/2012 (cfr. art. 3 Doveri e deontologia”; art. 6 “Segreto professionale”; art. 13 “Conferimento dell’incarico e compenso”; art. 14 “Mandato professionale. Sostituzioni e collaborazioni”) e nelle norme del Codice deontologico forense (cfr. art. 10 “dovere di fedeltà”; art. 11 “rapporto di fiducia e accettazione dell’incarico”; art. 12 “dovere di diligenza”; art. 13 “dovere di segretezza e riservatezza”; art. 14 “dovere di competenza”; art. 26 “adempimento del mandato”; art. 27 “doveri di informazione”; art. 28 “riserbo e segreto professionale”).
La responsabilità professionale dell’Avvocato va comparata ai tre principali doveri:
I principi generali della responsabilità civile si ravvisano invece nell’art. 1176 cod. civ., secondo comma e nell’art. 2236 cod. civ. e nell’art. 1218 cod. civ.
Le due norme sono in rapporto di complementarità atteso che l’art. 1176 comma 2 cod. civ. costituisce la regola generale mentre l’art. 2236 cod. civ. si applica solo allorché la prestazione importi la soluzione di problemi di particolare difficoltà.
In base al primo articolo, la giurisprudenza ritiene negligente il professionista che tenga una condotta diversa da quella che avrebbe osservato l’homo eiusdem generis et condicionis.
Infatti, il Professionista medio richiamato dal citato articolo rappresenta il parametro di valutazione della condotta dell’Avvocato che deve essere dunque dotato di media attenzione e preparazione, qualificato dalla perizia e dotato degli strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione da svolgere.
L’art. 2236 cod. civ. statuisce che se la prestazione del professionista intellettuale implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.
La responsabilità professionale dell’Avvocato non può essere valutata in base all’esito favorevole o meno della causa che ha patrocinato, configurandosi l’obbligazione del professionista come obbligazione di mezzi e non di risultato.
Pertanto, non ogni presunto inadempimento del professionista legittima la richiesta di risarcimento danni dell’assitito.
Ed invero, la Giurisprudenza in materia (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 2 febbraio 2016, n. 1984), ha statuito che: «qualora un soggetto intenda ottenere il risarcimento per un danno che ritiene derivante da negligenza del professionista, graverà su di esso l’onere di provare lo stringente nesso di causalità tra il danno in concreto verificatosi e la condotta del danneggiante».
La Suprema Corte ha rilevato che è necessario verificare, caso per caso, se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del legale, se ciò abbia prodotto effettivamente un danno ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone.
Tale orientamento era stato già confermato da numerose pronunce.
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