Prima di entrare nel merito del procedimento di contestazione disciplinare, è necessario chiarire alcuni concetti.
Il legislatore definisce “lavoratore subordinato” chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Il lavoro di cui sopra deve essere prestato con la diligenza richiesta dalla natura della prestazione offerta, nell’interesse dell’impresa e di quello superiore della produzione nazionale. E’ infatti previsto che, a tale scopo, il lavoratore subordinato osservi le disposizioni che il datore di lavoro impartisce. Inoltre, è previsto che il lavoratore subordinato non tratti affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con il proprio datore di lavoro, né divulghi notizie attinenti l’organizzazione o i metodi di produzione dell’impresa presso cui è assunto. L’inosservanza di tali precetti può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari.
Il datore di lavoro detta le regole di comportamento da osservare in azienda per garantire un ordinato ed efficiente svolgimento dell’attività lavorativa. A tale potere è complementare la facoltà di prendere provvedimenti sanzionatori nei confronti di quei dipendenti che non rispettino il potere direttivo di parte datoriale.
Affinché l’irrogazione di una sanzione disciplinare sia legittima solo alla presenza di terminati presupposti, altrimenti è nulla.
La risposta a questa domanda può essere rintracciata in un contributo ad hoc che si intitola appunto “Codice Disciplinare”. In questa sede ci limiteremo a dire che trattasi dell’insieme di norme disciplinari previste dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale che il lavoratore è tenuto a rispettare per non incorrere in sanzione disciplinare.
Assolutamente sì! Quando il datore di lavoro viene a conoscenza della possibile infrazione commessa da un suo lavoratore subordinato, può svolgere indagini al fine di acquisire elementi utili per incolparlo. Ciò purchè all’esito delle indagini il datore di lavoro proceda con formale contestazione disciplinare e purché il lavoratore abbia la possibilità di difendersi.
Tali indagini posso essere condotte mediante l’audizione del lavoratore oppure in maniera riservata, quando la conoscenza delle stesse da parte del sospettato le potrebbe rendere inutili.
Quando il datore di lavoro prende cognizione di un fatto idoneo ad integrare un illecito disciplinare, deve prima di tutto contestare l’addebito al lavoratore. Tale contestazione è condizione di legittimità dell’eventuale provvedimento sanzionatorio che segue. E’ quindi fondamentale che la contestazione sia eseguita a norma di legge. Per essere tale, è necessario considerare:
La contestazione di illeciti che comportano sanzioni disciplinari più gravi del rimprovero verbale deve avere forma scritta. Il legislatore non indica le modalità di consegna dell’atto scritto al lavoratore. Non è pertanto necessaria né una raccomandata con avviso di ricevimento, né tantomeno la firma del destinatario. La giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto sufficiente e legittima la consegna dell’atto scritto operata da persona incaricata dal datore di lavoro.
Addirittura, una recente pronuncia del Tribunale di Catania – sezione lavoro – ha ritenuto che il recesso intimato via whatsapp appare idoneo ad assolvere l’onere di forma scritta prescritto dalla legge quando risulti incontestata la provenienza della comunicazione dal datore di lavoro.
E’ quindi chiaro che ormai l’avvenuta contestazione di addebito possa essere provata con ogni mezzo, compresa la doppia spunta whatsapp o con la testimonianza della persona incaricata di consegnarla.
Se la contestazione è inviata a mezzo raccomandata all’indirizzo del lavoratore, è sufficiente la prova dell’avvenuto avviso della giacenza del plico postale. A tal proposito consigliamo di rileggere il contributo: “Raccomandata, perché riceverla sempre.”
La contestazione deve contenere la manifestazione non equivoca dell’intenzione del datore di lavoro di considerare le circostanze addebitate come illecito disciplinare.
SPECIFICITA’: la contestazione deve includere le indicazioni essenziali e necessarie per individuare il fatto in cui il datore di lavoro ravvisa infrazioni disciplinari. Non serve un’accurata descrizione dell’illecito disciplinare, ma è necessario un richiamo sintetico del fatto che fissa l’ambito della questione sulla quale il lavoratore può impostare la propria difesa.
Il datore di lavoro non ha alcun obbligo d’indicare le norma giuridiche o contrattuali che si assumono violate. Tuttavia, soprattutto se l’addebito riguarda comportamenti omissivi, la contestazione deve includere l’analitica descrizione della regola di condotta che il dipendente avrebbe dovuto rispettare.
IMMEDIATEZZA: l’addebito deve essere tempestivamente contestato. L’immediatezza è valutata con riferimento al momento della commissione del fatto contestato o della sua piena conoscenza da parte del datore di lavoro.
Il requisito dell’immediatezza deve essere contemplato secondo buona fede e ragionevole elasticità. La tempestività di cui sopra deve essere esclusa quando il tempo trascorso abbia ingenerato nel lavoratore la legittima convinzione della rinuncia all’esercizio del potere disciplinare da parte del datore.
La sanzione tardiva lede il legittimo affidamento del lavoratore e dunque anche il suo diritto di difesa. Pertanto, il datore di lavoro non può procrastinare la contestazione dell’infrazione disciplinare in modo da rendere impossibile o eccessivamente difficile la difesa del lavoratore.
IMMUTABILITA’: i fatti su cui si fonda la sanzione disciplinare debbono coincidere con quelli oggetto dell’avvenuta contestazione, altrimenti viene leso il diritto di difesa del lavoratore. La coincidenza deve riguardare i fatti materiali e non la loro qualificazione giuridica, che è solo eventuale.
Il principio di immutabilità è violato solo nel caso in cui vi sia un sostanziale mutamento del fatto addebitato, relativamente alle modalità in cui si è svolto o al complesso degli elementi di fatto connessi all’azione dell’agente. Pertanto è lecito attribuire al lavoratore fatti nuovi per chiarire gli aspetti concreti dell’episodio e confermare l’addebito contestato.
Dalla ricezione della contestazione disciplinare, il lavoratore ha 5 giorni di calendario (inclusi quindi gli eventuali festivi intermedi) per svolgere le proprie difese in forma orale o scritta. Entro il quinto giorno le difese debbono pervenire al datore di lavoro. Non rileva che, per esempio, siano state inviate per posta e non siano ancora state recapitate.
Tale difesa deve essere specifica e puntuale. In questa sede la giurisprudenza tende ad escludere la c.d. assistenza tecnica di un legale, ma ammette quella di un rappresentante sindacale.
La difesa scritta, sempre auspicabile, non esaurisce il diritto di difesa del lavoratore, che può chiedere di essere anche ascoltato.
Il lavoratore che voglia presentare oralmente le proprie difese, ha l’onere di comunicare la propria volontà in termini inequivocabili ed univoci. A specifica richiesta fa riscontro l’obbligo del datore di lavoro di ascoltare il lavoratore prima di irrogare l’eventuale sanzione, anche se le eventuali giustificazioni scritte appaiono già di per sé ampie ed esaustive.
La sanzione disciplinare irrogata senza l’audizione orale richiesta dal lavoratore è illegittima.
Esaurita la procedura di contestazione disciplinare, il datore di lavoro può legittimamente irrogare il provvedimento disciplinare sanzionatorio. Nella comunicazione scritta inviata al lavoratore, contenente la sanzione disciplinare, è sufficiente un richiamo alla precedente contestazione di addebito. Non è necessario riportare le giustificazioni del lavoratore né spiegare le ragioni che hanno indotto il datore di lavoro a non prenderle in considerazione.
Segue la materiale esecuzione della sanzione disciplinare.
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