L’obbligo di non concorrenza, che grava sull’ex agente dopo la cessazione del rapporto, non è un elemento essenziale del contratto di agenzia, pertanto affinché l’ex agente sia gravato da tale vincolo, è necessaria una specifica pattuizione scritta in tal senso tra le parti. In mancanza, egli potrà beneficiare dell’avviamento e della clientela realizzati per l’ex preponente, con il solo limite derivante dal divieto di porre in essere atti di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 c.c., come lo storno di agenti (assunzione in modo anormale di agenti del preponente), la divulgazione di false affermazioni o anche vere ma in modo tendenzioso nei confronti dell’ex preponente, o ancora il dirottamento verso il nuovo preponente dei clienti per i quali l’ex agente lavorava durante il precedente rapporto di agenzia.
Il patto di non concorrenza post-contrattuale, contenuto in condizioni unilateralmente predisposte, è privo di effetto se non specificatamente approvato per iscritto.
Il patto di non concorrenza è previsto, innanzitutto, dal codice civile che all’art. 1751 bis disciplina la materia ed i requisiti sostanziali. Esso trova, inoltre, un’espressa disciplina nell’ambito della contrattazione collettiva, indipendentemente dall’appartenenza o meno delle parti alle relative associazioni di categoria, a differenza del regime generale applicabile al rapporto tra contratto di agenzia e AEC (Accordi Economici Collettivi, contratti tra privati, stipulati dalle associazioni degli imprenditori e quelle degli agenti di commercio), secondo cui questi ultimi sono vincolanti solamenti per iscritti ed aderenti.
Ai sensi dell’art. 1751 bis c.c., i requisiti sostanziali del patto di non concorrenza, quello formale è costituito dalla forma scritta ad substantiam, sono due:
– il patto deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia cessato, mentre deve essere ritenuto nullo per la parte eccedente;
– la sua durata massima è di due anni successivi alla cessazione del contratto.
Per quanto concerne il primo requisito, per individuare l’oggetto del patto di non concorrenza post-contrattuale si deve considerare la tipologia di clientela che potrebbe essere destinataria di prodotti analoghi. Prendiamo il caso di un agente che nel precedente rapporto promuoveva la vendita di abbigliamento sportivo da sci: questi non potrà successivamente, nel nuovo contratto di agenzia, in presenza di un patto di non concorrenza, promuovere la vendita di abbigliamento sportivo da equitazione, ma potrà, senza violare il patto in questione, promuovere abbigliamento d’alta moda.
Relativamente al secondo dei requisiti, se viene prevista una durata superiore ai due anni, o non è previsto alcun termine finale del patto di non concorrenza, entrambi i casi saranno ricondotti al dettato normativo, per il principio di conservazione degli effetti del contratto.
Il secondo comma dell’art. 1751 bis c.c. disciplina l’indennità dovuta all’agente alla cessazione del rapporto, nel caso di accettazione del patto di non concorrenza. Essa deve essere pagata alla cessazione del contratto di agenzia e non può essere dilazionata né differita al termine finale del patto di non concorrenza. L’ex preponente si troverà nella circostanza di pagare per un patto di non concorrenza senza (poter) sapere se l’ex agente rispetterà o meno l’obbligo, salvi i rimedi contrattuali in caso di inadempimento.
L’indennità va commisurata alla durata, non superiore a due anni dopo l’estinzione del contratto, alla natura del contratto di agenzia e all’indennità di fine rapporto.
La quantificazione dell’indennità è affidata alla libera negoziazione delle parti nonché degli accordi economici collettivi di categoria. In difetto di accordo tra le parti, l’importo dell’indennità è determinato dal giudice in via equitativa.
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