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Data Aggiornamento: Maggio 2023

L’Azione Revocatoria

Accade sovente nella prassi che il creditore, di fronte ad una probabile aggressione dei suoi beni da parte di creditori, sottragga i beni all’aggressione ponendoli in vendita o donandoli.

Il fondamento dell’azione revocatoria è la consapevole violazione da parte del debitore di un obbligo di condotta verso il creditore: l’obbligo di mantenere il patrimonio in condizioni tali da garantire la soddisfazione di quest’ultimo.

Il principio cardine dell’azione revocatoria (cfr. art. 2901 e seg. cod. civ.) si rinviene nell’art. 2740 cod. civ che sancisce che il debitore risponde delle obbligazioni passate, presenti e future con il proprio patrimonio.

L’art. 2901 cod. civ., stabilisce i requisiti necessari per la proposizione e l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria, attribuendo ai creditori il diritto di opporsi alle operazioni di depauperamento e di dispersione del patrimonio attuate dal debitore.

Quali sono i presupposti dell’azione revocatoria?

I presupposti dell’azione revocatoria sono:

1) un diritto di credito verso il debitore: il credito può essere di qualsiasi natura (chirografario e/o privilegiato), può essere sottoposto a termine o condizione e può anche essere un credito non ancora accertato in giudizio o oggetto di contenzioso;

2) un atto dispositivo del debitore: ossia un atto o un negozio con cui il debitore abbia alterato e modificato la consistenza del proprio patrimonio;

3) un pregiudizio causato dall’atto alle ragioni del creditore (c.d. eventus damni): tale requisito deve sussistere al momento del compimento dell’atto impugnato e consiste in qualsiasi depauperamento del patrimonio del debitore tale da impedire, o anche solo rendere più difficile o rischioso l’eventuale soddisfacimento coattivo del credito. Si ritiene sufficiente anche il solo pericolo di danno;

4) la conoscenza che il debitore aveva di detto pregiudizio (c.d. consilium fraudis);

5) la consapevolezza del pregiudizio o partecipazione alla dolosa preordinazione da parte del terzo acquirente nel caso di atti a titolo oneroso (c.d. scientia damni o scientia fraudis).

Quali sono i termini di prescrizione dell’azione revocatoria?

L’art. 2903 cod. civ. stabilisce che l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto, ossia dal giorno in cui ne è stata data pubblicità mediante trascrizione nei registri immobiliari (cfr. Corte di Cassazione, Sentenza 15 maggio 2018, n. 11758).

Cosa si ottiene con l’azione revocatoria?

La peculiarità dell’art. 2901 cod. civ. è quella di ottenere, ex art. 2902 cod. civ., l’inefficacia, nei riguardi del singolo creditore che ha agito, degli atti di disposizione patrimoniale con i quali il debitore abbia pregiudicato le ragioni del creditore stesso.

Trattasi di inefficacia relativa e parziale atteso che è solo il creditore che ha esperito vittoriosamente l’azione che potrà giovarsi dell’inefficacia dell’atto di disposizione e atteso che la fictio iuris ottenuta dal creditore non esplica nessun effetto recuperatorio “reale”. Il bene oggetto dell’atto aggredito ex art. 2901 cod. civ. rimane, infatti, nella disponibilità del terzo.

La Revocatoria alla luce del Codice della crisi d’impresa

I principi sopra richiamati stabiliti dagli artt. 2740 e 2741 cod. civ. trovano nella procedura concorsuale una tutela rafforzata.

Per quel che riguarda gli effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori, la nuova disciplina ricalca, sostanzialmente, quella di cui agli attuali artt. 64 e seguenti della Legge Fallimentare con la specificazione, tuttavia, che il termine a ritroso per l’individuazione del periodo sospetto deve essere calcolato a partire dalla data in cui è stata depositata «la domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale».

La modifica riguarda sia gli atti a titolo gratuito (art. 163 CCII) sia i pagamenti di crediti scaduti e non postergati (art. 164 CCII), sia gli atti a titolo oneroso (art. 166 CCII).

Nessuna modifica, invece, si registra con riferimento all’azione revocatoria ordinaria (art. 165 CCII), coerentemente col fatto che, in questi casi, il termine decorre dal compimento dell’atto.

Il curatore può domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le norme del codice civile.

L’art. 170 statuisce che le azioni revocatorie e di inefficacia non possono essere promosse dal curatore decorsi tre anni dall’apertura della liquidazione giudiziale e comunque si prescrivono decorsi cinque anni dal compimento dell’atto.

Gli effetti particolari dell’azione, legati proprio alla natura della particolare procedura, consistono, a differenza della revocatoria ordinaria, nella restituzione del bene oggetto dell’atto revocato nella disponibilità della curatela fallimentare al fine di procedere alla liquidazione concorsuale nelle forme previste dagli artt. 105 e ss., L. fall.

Azione Revocatoria e fondo patrimoniale

Tra gli atti sicuramente revocabili va ricompresa anche la costituzione del fondo patrimoniale, in quanto essa limita l’aggredibilità dei beni conferiti solamente alla ricorrenza di determinate condizioni e rende più incerta o difficile la soddisfazione del credito, riducendo conseguentemente la garanzia generale ex art. 2740 c.c. spettante ai creditori.

Si segnala una pronuncia della Corte di Cassazione (Sentenza n. 9536/2023) che ha statuito che l’azione revocatoria intentata dal creditore di uno dei coniugi nei riguardi dell’atto con cui un bene della comunione legale sia stato conferito in un fondo patrimoniale deve essere rivolta (notificata ed eventualmente trascritta ex art. 2652, comma 1, n. 5 c.c.) nei confronti di entrambi i coniugi, essendo preordinata alla pronuncia di inefficacia dell’ atto nel suo complesso (vale a dire non limitatamente a un’inesistente quota pari alla metà del bene), in quanto  funzionale ad un’espropriazione forzata da compiersi anch’essa, necessariamente, sull’intero bene.

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